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Etnagrammi , vernissage a Milano

Tensioni geometriche, abbandoni naturalistici
Sempre in pericoloso equilibrio fra la rigorosa scelta geometrica e l’amore per il
paesaggio figurativo, i lavori di Valentina Granata si espandono su diversi supporti e
con diverse finalità comunicative. Il linguaggio però è sempre lo stesso, la palette dei
colori, la precisione del segno, la leggerezza della forma anche quando si tratta di lava e
fuoco. Tutti vengono chiamati “Etnagrammi”. Disegnare l’Etna, con i suoi pendii, le sue
eruzioni violente, i rivoli di fuoco o le verdescenze di primavera rappresenta per l’artista
una forma di meditazione su un soggetto conosciuto, che invade quasi autonomamente
la carta da acquerello. È il desiderio di comprenderlo, riprodurlo, farlo conoscere,
comunicarlo. Desiderio di perdersi nei suoi ritmi imprevedibili e di abbandonarsi ai suoi
spazi desertici di lava nera. Diverso è il progetto che sottende i dipinti geometrici, dove
“a muntagna”, sempre lei, Etna, viene astrattizzata. Le forme si estendono fino a ricoprire
tutta la superfice del supporto, secondo una regola matematica. Il numero del nome di
Valentina viene usato come paradigma, diviso e moltiplicato per restare sempre 9.
E così le forme geometriche si costruiscono sotto la tensione algebrica che decide angoli
e dimensioni, tagli e inserimenti. Questi lavori non sono più una lenta meditazione sulla
natura, ma si impongono come caparbia volontà di racchiudere la realtà amata in una
formula, per dominarla e riportarla a un linguaggio razionale e comprensibile.
Sono numerose e infinite le composizioni geometriche che indicano terra, acqua, fuoco,
cielo, come infinite sono le combinazioni numeriche dei multipli e sottomultipli del 9.
Questo dualismo fra la visione romantica del paesaggio e la sovrastruttura geometrica
(retaggio dell’amore e dello studio di artisti come Malevich, El Lissitzki, Chashnik, Klee e
per il Bauhaus) si ripropone anche nella produzione di gioielli e foulard.
Oggetti dove è evidente l’adesione verso il Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale, per
cui secondo Walter Gropius si sarebbe dovuta formare “una nuova comunità di artefici,
senza le distinzioni di classe che provocano un’arrogante barriera tra artigiano e artista”.
monica masiero